Contro la repressione non si tace!
(Sugli arresti del 19/05/2009 e non solo)
Sabato 16 maggio a Torino la contestazione degli operai della fiat e dello Slai Cobas contro la possibilità di tagli dell’occupazione e gli accordi concertativi siglati dai sindacati confederati viene criminalizzata su tutti i media e da un fronte che va dall cgil cisl uil fino a confindustria e governo.
Martedi 19 maggio a Torino la polizia arresta 2 compagni dopo le cariche effettuate per disperdere un corteo di migliaia di studenti che manifestavano contro il saccheggio della scuola pubblica e il taglio dei fondi all’università.
Venerdi 22 maggio a Milano la digos interviene in una scuola elementare per rimuovere i cartelli esposti per protesta contro il taglio di un insegnate imposto dalla riforma Gelmini, cercando di indagare sugli autori di quei manifesti cosi sovversivi……..
Sabato 23 maggio a Palermo la polizia carica e opera fermi ai danni dei partecipanti alla protesta organizzata dalla Confederazione Cobas che, alla manifestazione in ricordo di Giovanni Falcone, esponeva uno striscione “la mafia ringrazia lo stato per la morte della scuola pubblica”.
Abbiamo fatto un breve panorama di questi ultimi avvenimenti, diversi per contesto, per dare il senso di quello che è ormai, nei fatti, l’unico modo di risoluzione e l’approccio del governo delle destre, alle diverse forme che il conflitto di classe e la protesta sociale possono assumere.
Specifichiamo governo Berlusconi perché diamo per scontato che ogni governo della borghesia, nelle sue diverse componenti, utilizzi la repressione e la violenza per tacitare l’opposizione nelle piazze, e da questo punto di vista il governo Prodi, da Napoli 2001 in poi non si è fatto e soprattutto non ci ha fatto mancare nulla.
Ma oggi, crediamo, di essere all’interno di un quadro di una progressiva trasformazione delle istituzioni borghesi, e di assistere ad un silenzioso e progressivo passaggio da una democrazia parlamentare borghese, con il taglio definitivo dell’ormai inutile parlamento (diventato pesante orpello per il decisionismo del “capo”) e con l’annullamento delle cosiddette mediazioni “democratiche” , ad un regime del controllo sociale e di “democrazia autoritaria” che utilizza il consenso popolare, la credibilità personale…..e lo strapotere economico del loro padre padrone, la criminalizzazione orchestrata e violenta dei media, la repressione nelle piazze con una perfetta sintonia tra magistratura e forze dell’ordine, e la concertazione come grazia concessa e auspicata dalle forze sindacali, come armi per tenere soggiogati i proletari al loro ruolo di subalternità e per costringerci a vivere con livelli di sfruttamento e precarietà della vita sempre più accentuati.
L’attuale crisi strutturale del modo di produzione capitalistico accellera e rinforza i processi repressivi e le strette autoritarie per prevenire e annullare ogni spinta che possa frenare i processi di trasformazione interna all’organizzzione capitalistica del lavoro per permettere la sopravivenza del capitalismo.
Ma non stiamo parlando, ne evidentemente paventiamo, non ipotizzabili colpi di stato o altre espressioni del potere che in altre fasi della storia la borghesia nazionale ha utilizzato.
Non pensiamo certamente alla riproposizione di un fascismo in camicia nera o a possibili parate con il fascio littorio, che comunque tanto piacerebbero a una buona parte dei ministri dell’attuale repubblica italiana.
Pensiamo e vogliamo denunciare le nuove forme in cui l’oppressione di classe si esprime ormai da tempo.
Pensiamo ad un “fascismo” più strisciante, più pervasivo, più capace di creare consenso su modelli comportamentali costruiti ad arte per trainare consumi e assecondare la pseudo cultura meritocratica che attraversa tranquillamente entrambi i poli elettorali.
Che ripropone il corporativismo e la cooptazione dei lavoratori nel proprio sfruttamento con il pagamento di parte del salario in azioni, che demolisce stato sociale e contratti nazionali seminando la convinzione che esiste un'unica società possibile e di questa società o si è “militanti”, o automi consenzienti o altrimenti se ne è espulsi.
Che costruisce artatamente il concetto di “sicurezza”, fomentando razzismo, per scaricare sui migranti il peso e la responsabilità della nostra precarietà della vita e del lavoro. ….e che, soprattutto, non sente il peso di un’opposizione di classe che fa sentire a chi questa crisi ha determinato, la rabbia di chi questa crisi si rifiuta di pagare.
Ma se questo è, molto sinteticamente, il senso della trasformazione che la crisi sta accellerando, non basta più la doverosa e scontata solidarietà a chi è colpito dalla repressione, non basta più la condivisione forte e sentita del peso delle denunce e del carcere.
Va, crediamo, analizzato e affrontato più complessivamente il quadro dello scontro, andando a ricostruire sul terreno materiale del conflitto e della solidarietà di classe, le relazioni tra i settori sociali che la ristrutturazione economica di metà anni ’70 e le modificazioni post fordiste che l’organizzazione capitalistica del lavoro ha subito e riprodotto nella classe nei termini di rottura dei vincoli solidaristici.
Va intrecciato ogni tipo di percorso di confronto collettivo all’interno del sindacalismo di Base, in rappresentanza di settori di classe “tradizionali”, con una nuova capacità di analisi sulla nuove forme che la composizione di classe assume nella fortissima e motivata convinzione che la precarietà odierna non è la stessa precarietà dell’operaio fiat prima degli accordi del1980.
E ancora sapendo coniugare e generalizzare questa prospettiva di conflitto alla pratica di resistenza sociale alle trasformazioni territoriali e ambientali.
Va rimesso in piedi un confronto di progettualità che possa camminare sia su un livello di rigidità e resistenza operaia contro i licenziamenti , come anche su forme nuove e radicali di vertenzialità sociale.
Va superato con forza il (passateci l’espressione) il corporativismo studentesco, il corporativismo precario, il corporativismo operaio, capendo oltretutto che su questi corporativismi si avvitano dinamiche di sopravvivenza di piccoli ceti politici in cerca di scadenze in cui alzare la bandierina.
Vanno bandite, una volta per tutte, le speranze di trasformazione societaria su un piano elettorale ricercando collettivamente internità al conflitto in ogni forma si esprima.
Il “se non ora quando” di cui parlavamo ai primi sentori della crisi è sempre più attuale, e con questa impellenza ogni soggettività politica e sociale dovrà fare i conti, con una capacità rinnovata di recepire stimoli per un confronto collettivo sulla fase e sugli strumenti che, per affrontarla, questa richiede.
Solidarietà ai compagni arrestati
per un rilancio del conflitto !
I compagni e le compagne del csa vittoria.
IN PRIMO PIANO
______________________________________
martedì 26 maggio 2009
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento