Aprile 1975 – Aprile 2010
Noi non dimentichiamo !
Il 1975 fu un anno molto particolare.
Si andava affermando in maniera sempre più eclatante una pesante crisi strutturale del modo di produzione capitalistico; era già da tempo finito, infatti, il boom economico quando la fase di ricostruzione post bellica e la forte accelerazione di un processo di industrializzazione, basato su un economia di scala, avevano permesso una fortissima accumulazione di profitti per una rinata borghesia nazionale.
Questa nuova accumulazione di profitti aveva permesso, all’insegna delle teorie keynesiane, intervento statale sempre più massiccio e una redistribuzione progressiva del reddito per una forte spinta ai consumi interni, ma era anche servita ad imporre, a un paese che usciva devastato dalla guerra e dal ventennio fascista, una sorta di patto sociale che prometteva la diffusione di maggior benessere, con l’allargamento del numero dei salariati in cambio di livelli di sfruttamento e profitti sempre maggiori.
La grandi crisi energetica dei primi anni ’70 spinse, però, ad una forte impennata dei prezzi di consumo e, congiunturalmente, i governi dell’epoca, applicarono delle dissennate politiche svalutative che, abbassando il valore della lira, incrementarono esponenzialmente l’abbassamento del potere d’acquisto dei salari, causando così un forte peggioramento delle condizioni di vita per i lavoratori, le lavoratrici, e le loro famiglie.
Questo scossone fu però troppo profondo da potersi risolvere o governare con la scelta di politiche economiche usuali, definendosi, chiaramente, come indice di una crisi strutturale.
Incominciava infatti, a cavallo degli anni ’70, quel processo epocale di trasformazione dell’organizzazione capitalistica del lavoro, che dava il via alla distruzione sistematica delle grosse concentrazioni industriali consone ad un sistema produttivo di tipo fordista, provando a ristrutturarlo per sopravvivere alle prime grosse crisi di sovrapproduzione e saturazione dei mercati, tentando di scaricarne i costi sulle classi subalterne.
La variabile su cui immediatamente intervenire era ieri, come oggi, il costo del lavoro insieme al sistema generale di garanzie sociali, cercando anche di spezzare, come elemento di forzatura tutta politica, quella stratificazione di diritti sostenuta dalla modificazione dei rapporti di forza nelle fabbriche, acquisita con le lotte dell’autunno caldo che portarono alla formalizzazione e al riconoscimento dello Statuto dei lavoratori su tutto il territorio nazionale. Questo progressivo peggioramento delle condizioni di vita causò una forte e spontanea protesta popolare.
Ondate di scioperi attraversarono tutta l’Italia, e la radicalizzazione di questi conflitti tendeva ad esprimere posizioni sempre più chiaramente anticapitalistiche che, sfondando i limiti ed i paletti che le organizzazioni sindacali ponevano alle lotte, ne spostavano oggettivamente le prospettive su un terreno politico sempre più avanzato.
Tra mille contraddizioni e difficoltà, si definiva la progressiva consapevolezza di un’identità della classe come soggetto storico capace di una trasformazione dell’esistente, e venivano a maturare i frutti di uno sforzo ricompositivo sul terreno concreto dello scontro di classe, ad esempio studenti e lavoratori, che arrivava dalle lotte dell’Autunno caldo del ’69.
L’idea stessa di Comunismo, di una società nella quale potesse trovare risposta l’esigenza di liberazione dal lavoro salariato, la sua affermazione esplicita di egualitarismo economico e sociale, l’idea di un’unica condizione imprescindibile per la valorizzazione delle potenzialità di ogni essere umano, la necessità di una radicalizzazione delle lotte in relazione all’espressione di una capacità di esprimere un conflitto di classe sempre più dispiegato, l’utilizzo della forza e della “violenza” come strumento di ribaltamento dei rapporti di classe, ecco questi fattori erano presenti da anni nel dibattito che attraversava, non solo la sinistra rivoluzionaria, ma gli stessi soggetti sociali che erano protagonisti del conflitto nella consapevolezza che l’idea, il sogno, l’utopia, la “voglia” di comunismo fossero oggettivamente indispensabili per avanzare o anche solo resistere sul piano economico agli attacchi del padrone.
Ma, come nel 1969, la risposta della classe padronale italiana non si fece attendere.
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