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venerdì 4 giugno 2010

Figlie di un dio minore

Chiamiamola Joy, è una delle tante figlie di un dio minore, giunte in Italia da paesi rovinati dallo sfruttamento e dall’oppressione.e bianchi, alcuni in divisa, tutti pronti a cavarle il sangue. E quando ha alzato la testa, è caduta dalla padella nella brace. Nella brace dei Centri di Identificazione ed Espulsione. Grazie a una legge dello Stato italiano, il pacchetto sicurezza, che impone agli extracomunitari di lavorare, e basta. A qualunque condizione. Se fanno sentire la loro voce, il padrone li lascia a casa, e addio permesso di soggiorno. E allora si aprono le porte dei CIE, lager di Stato dove regnano l’arbitrio e la violenza. Dove l’unica colpa è quella di aver perso il posto di lavoro e di essere costretti ad arrangiarsi, per vivere.Un inferno dei vivi, che per le donne è anche peggio. Joy, nel CIE di via Corelli a Milano, ha e-vitato per un pelo lostupro tentato dal capo dei secondini.

E tutto questo avviene nello Stato di «diritto», con la benedizione della Costituzione democratica della Repubblica italiana, che solo dei venduti o degli imbecilli si ostinano a difendere.Se ce ne fosse stato bisogno, la crisi ha fatto cadere la piccola foglia di fico democratica che na-sconde la realtà di un regime basato sullo sfruttamento e sulla violenza.Le umiliazioni e i soprusi, che i padroni e il loro governo impongono alle tante Joy «extra comu-nitarie», sono solo un’anteprima di quanto essi stanno preparando anche per le donne proletarie d’Italia, da sempre figlie di un dio minore. È quanto sta avvenendo, a Milano, dove Jessica Capozzi, ha detto NO alle stupide imposizioni di un capoccia.

JESSICA, RAGAZZA DI STRADA

Jessica Capozzi, lavoratrice di anni 34, con contratto a termine dell’ATM, è stata licenziata il 17 maggio, perchè ha osato criticare un malservizio al Direttore al Personale. Con il lavoro, ha perso anche la casa. Da allora, presidia il deposito Palmanova (in via Esterle 9), vive e dorme nella sua automobile, in segno di protesta contro il licenziamento. E, giustamente, esige di essere reintegrata.Jessica e Joy sono vittime dello stesso regime di violenza e sfruttamento imposto dai padroni.Ma sono anche vittime dell’atteggiamento remissivo di molti lavoratori italiani che, da troppi anni, hanno lasciato passare troppe porcherie. Senza reagire. E di questa remissione sono responsa-bili CGIL, CISL e UIL. Pronte a correre in aiuto dei padroni; pronte a difendere il proprio apparato, come forza di contrattazione. Ma sempre assenti, quando i lavoratori sono nella merda.Contro questo deleterio andazzo, le vicende di Jessica e Joy hanno dato il via a un’inversione di marcia.Dalla scorsa estate, Joy e le sue compagne sono al centro di un vasto movimento di lotta contro i CIE.In questi giorni, il presidio di Jessica davanti al deposito ATM ha visto la solidarietà di tutti i colleghi, che sostengono la sua iniziativa, le danno aiuto e hanno raccolto nel deposito Palmanova almeno 400 firme e altre si stanno raccogliendo negli altri depositi..Ma questo è solo il primo passo. Il “lieto fine” ci sarà solo se, insieme ai lavoratori, partecipiamo e sosteniamo anche dall’esterno le iniziative di lotta.Intorno a Jessica e a Joy si possono e si devono unificare i diversi fronti, per l’unità di tutti gli sfruttati, di ogni sesso e colore. La crisi non lascia alternative.

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